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il padre poteva amare più lui, ma tenersi dal dimostrare l’affetto col dargli un abito più bello: e dall’altro canto potevano i fratelli sentir dispiacere che il padre non li amasse tanto, ma non invidiare però il giovanetto, anzi, con buone opere e buone maniere, e consolare il padre e sempre più meritarsi da lui affetto maggiore. E poteva Giuseppe, prima di rapportare al padre i mancamenti loro, sconsigliarneli dolcemente, e farli col proprio esempio migliori; e, per ultimo rimedio, ricorrere all’orecchio paterno. E l’avrà forse fatto: giova credere il meglio, appunto perchè non lo sappiamo di certo.

Or avvenne a Giuseppe di fare un sogno; e lo disse a’ fratelli: e l’odio crebbe di lì. Disse ad essi: «State a sentire il sogno che feci. Mi pareva che noi stessimo a legare le manne nel campo, e il fascio mio levarsi più alto, e gli altri intorno inchinarsi a quello». Risposero i suoi fratelli: «Oh che? Sarai tu forse il principe nostro? Saremo noi soggetti alla tua potestà?».

Fece Giuseppe un altro sogno, e lo disse a loro e poteva tacerlo, ma forse lo disse senza vantarsene. «Ho visto in sogno (diceva), come se il sole e la luna e undici stelle s’inchinassero a me». Lo disse a suo padre e ai fratelli. Ma il padre ne lo sgridò: «Che vuol egli dire codesto? Forse che io e tuoi fratelli abbiamo a riverire te?» I fratelli dunque invidiavano Giuseppe; il padre stava a vedere, e taceva.



Or avvenne che gli undici fratelli si trovassero in Sichem a pascere il gregge del padre loro. Giuseppe era rimasto seco; e Giacobbe gli disse: «I tuoi fratelli stanno a badare alle