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pericoli, ad abbaccare fossi, a correre su tremole travi che accavalciano il torrente, a saltellare quasi in danza su ponte di taglienti macigni. Davide andava innanzi, Abisai dopo. Così vennero alla tenda di pelli tesa per riparare i sonni del re: e videro Saul che giaceva sopra pelli distese, e aveva da capo la lancia confitta in terra. Abner, il primo de’ suoi, dormiva non lontano, e altri capitani qua e là. Guardò Davide l’infelicissimo re, sepolto nel sonno; al quale forse sogni di vendetta adulavano l’odio della mente; e ineffabile pietà lo strinse in veder quella faccia solcata da rughe di lungo patimento, quelle labbra contratte dal frequente fremito, que’ capelli incanutiti dai disagi, dalle guerre audaci, e dal fuoco dell’anima tormentoso; quell’anelito d’infermo affannato, quel braccio possente che spenzola lento; quell’occhio ardente, ora spento sotto le aggrinzate palpebre, e che non si sarebbe, se Davide volesse, riaperto al sole mai più. Com’è malinconica la vista dell’uomo nel sonno! Come vengono a galla in quella calma i dolori nascosti nel fondo dell’anima, quasi avanzi di cadavere ingoiato dall’acque! Come la verità trasparisce da questa misteriosa imagine d’un più grande mistero, la morte! Davide stava immoto, quasi legato da letargo grave le membra: ma Abisai lo scosse, e col cenno disse di voler dar di piglio alla lancia stessa di Saul e inchiodarlo a terra. Ma Davide con occhio minaccioso lo rattenne, e prese l’asta che era da capo, e la coppa che il re beveva per via l’acqua della fonte; e se ne uscirono: e uscirono senza che alcuno s’avvedesse di loro, perché tutti stanchi dall’andare errando per quel deserto sì aspro; e coloro stessi che tra la veglia e il sonno avranno sentito