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io ho sospetto di lui, non pensi a tradire: ond’io gli fo torto, e pecco a Dio, sospettando così. Nondimeno, altro è credere fermamente ch’altri voglia far male; altr’è, nel dubbio, tenersi cauto. Fatto è che, all’avviso, Saul, come cane alla voce del padrone (perchè veramente le spie son padroni di chi loro dà retta), Saul con tremila mosse verso il deserto che mena ad Achila. Davide lo riseppe dalle vedette che stavano per le cime. E quando la notte fu buia, scese con due suoi compagni, senza ben risolversi a che. I lumi del campo, che prima luccicavano per il deserto come poche stelle in cielo freddo e nuvoloso, e lo facevano vieppiù mesto a vedere, erano tutti spenti. Non canti di guerra, non bisbiglio di voci, nè scalpiccio di piedi, nè scalpitar di cavallo: ma tale una quiete muta, che udivi il russare de’ guerreri più prossimi, e tra le felci giallicce il passare del vento. Disse Davide a’ due ch’eran seco: «Chi di voi fra tenda e tenda entra meco insino a Saul?». «Vengo io», disse Abisai, figliuolo di Gervia e fratello di Gioab. Si misero dunque Davide e Abisai fra le tenebre, ma non sì che non discernessero innanzi a’ lor passi le cose: e passavano tra la turba, tutt’intorno giacente come cadaveri d’uomini morti, passavano ora cansando un fascio di lance ritte l’un all’altra a contrasto, ora un cavallo giacente, ora un uomo che sta col petto scoperto e le braccia distese per la terra come su largo letto di piume: passavano cansando gl’inciampi, come fa per la china il ruscello che or volge a destra le docili piccole onde, ora a manca, secondo che l’incontra di qui o di lì un masso ignudo, o un’isoletta di pianticelle allegro-verdeggianti: passavano cauti ma risoluti, com’uomini destri a schivare