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Reo di tutto questo sangue son io». E sentendo rimorso e vergogna dell’aver mentito ad Achimelec, disse al giovanetto Abiatar: «Non temere; rimani meco. Se vorranno la tua, egli hanno prima a prendersi la mia vita. E s’io mi salvo, e tu sarai salvo». Sappiam grado a Davide che non rigettò dal suo seno quel giovanetto, come un rimprovero della imprudenza propria; che gli confessò schiettamente se essere colpevole del sangue de’ suoi che non temette con ciò l’odio o il dispregio dell’orfano desolato, ma credette poterlo consolare, e lo consolò veramente. Quanto pochi son quelli che patiscono, badino agli spasimi di chi patisce! Quanto son pochi che dicano all’addolorato: «Tu sei per causa mia addolorato»; e abbiano coraggio di chiedere scusa al debole che tace e piange! Quanto son pochi ch’abbiano fede nella generosità dell’anima umana, e sperino fermamente poter emendare il torto fatto, e essere perdonati! Il più degli uomini non si curano d’emendare il male che fanno, perchè lo stimano inemendabile; e, non sperando che l’offeso voglia mai perdonare ad essi, essi intanto lo guardano come nemico, e non gli perdonano mai, come se fossero essi gli offesi già da tutte le offese ch’e’ sospettano e sognano.


In questo mentre, vengono a Davide messaggi dicendo: «Ecco i Filistei che assaltano Ceila, e mettono le aie a ruba». Davide, preso consiglio dal sacerdote del Signore, si dispose al combattere. Ma i quattrocento ch’erano seco, i più gente data agli utili propri, cominciarono a dire che non era prudenza; che già troppo correvasi pericolo a rimanersene, essi gente sbandita, nel paese di Giuda: or pensa, commettersi a cimento di guerra! Gli