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parli. M’ha egli a celare questa sola, e tanto grave, tra tutte le cose ch’e’ fa? Non può essere». E s’ingegnava d’assicurare Davide, perchè credeva davvero, anco dopo le prove avute, impossibile che suo padre venisse a tanto. Giudicava altri da sè; e questo è bene quando si tratta d’attribuire ad altri un sentimento buono: ed è necessità degli animi onesti, che abborrono da giudizi temerarii, come da vile e affannosa calunnia. Ma Davide gli diceva: «Vostro padre, o Gionata, sapendo che mi volete bene, dirà: Tenghiamo celata la cosa a Gionata, che non se ne affligga. Così sia lode al Signore, e così sia salva, o Gionata, la vostra vita, com’io vedo e sento che dalla morte a me è un breve passo». Dice Gionata a Davide: «Quello che il cuore vostro mi consiglia, e io farò». Dice Davide: «Domani è dì di festa solenne, ch’io devo, secondo l’uso, accanto al re sedermi alla mensa. Io non mi ci vo’ trovare; e starò fuori tre interi dì. Se vostro padre domanda di me, rispondete: Davide mi chiese licenza d’ire in Betlemme, ch’è il suo luogo, a far sacrifizio solenne con tutti della tribù. Se il re dice: Sta bene, segno di pace. Se si rabbrusca, segno che l’astio del suo cuore dura. Usatemi, Gionata, questa carità, a me vostro servo; giacchè vi piacque con me, servo vostro, stringere amicizia nel Signore. Se a voi pare ch’io sia reo, uccidetemi voi; ma non vogliate condurre al padre vostro». A queste parole Gionata si commosse e quel chiamarsi che Davide faceva suo servo, l’umiliava dolorosamente e lo inteneriva. Onde disse: «Che dite voi mai, Davide; cognato e fratello mio, che mai dite? Non date retta vi supplico, a cotesto pensiero. Come è possibile che, s’io vedo