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e soave le armonie del pensiero, Davide, dico, era scelto a quetare, cantando, gl’impeti dementi di Saul: e a quel suono l’anima del re si quetava, com’acqua che s’appiana, e, non più torba, rimanda all’occhio i colori del cielo e gli alberi della riva.
Un giorno dunque che il giovane gli rendeva questo servigio di pace, re Saul se ne stava col mento sul petto, e con gli occhi di sotto in su sogguardandolo fieramente. Accanto aveva la lancia e Davide stava presso la parete di faccia. Quando una furia lo prende, dà di piglio alla lancia, e s’avventa per configerlo alla parete. Ma Davide antivide il colpo, e, gettando la cetera, uscì. Cadde la cetera del pastore, e cadde sulla cetera la lancia del re, rimbalzata dal muro; e le corde percosse diedero un suon di lamento. Si riscosse il disgraziato; e, inorridito di sè, coperse con le mani la faccia. Conobbe che Dio era col giovanetto. Temeva oramai fargli torto, temeva rendergli onore.
In questa battaglia di paura, d’invidia, di riverenza, di vergogna, si pensò di dargli il comando di mille guerrieri; che, nel suo ardire, corresse al pericolo, e che portata dal turbine della guerra si dileguasse per sempre quella vivente minaccia. Ma Davide era avveduto nel coraggio, e aveva Dio dalla sua, e il popolo aveva. Onde le smanie del re imperversavano più e più. Perchè Davide, non dimentico dell’umile origine, conversava col povero alla familiare, e intendeva col cuore le semplici parole di quello, e rispondeva con parole semplici e cordiali.
Pensò allora il re un’altra cosa: «Io ci ho Merob, disse, la mia figliuola maggiore, e vorrei dartela in moglie. Ma conviene che te la guadagni tu col tuo braccio, combattendo le battaglie di Dio e della patria». Saul pensava così: Senza