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Intanto che Davide parlava a re Saul, Gionata figliuolo di Saul, giovane prode e buono, lo stava riguardando con ammirazione serena, e taceva, ma a ogni parola, a ogni atto del pastorello, brillava a Gionata il cuore, come se avesse ritrovato un fratello. Gli piaceva nella semplicità la franchezza, la modestia nell’onore, la dignità di guerriero, la povertà di pastore e, con un braccio sì forte a difendersi, quella fede sommessa a Dio unico difensore. Gli piaceva che un altro guerriero, come suo padre, sorgesse da povera gente: come pianta che getta le radici alle falde del poggio, ed arriva colla cima i virgulti crescenti su per la costa. Prode, com’era Gionata, e buono, non nutriva nè invidia della prodezza altrui, nè sospetto dell’altrui cuore: prode e buono e modesto, aveva le doti che si convengono al vero amico. Da quel colloquio pertanto l’anima di Gionata si attaccò all’anima di Davide, come cera scaldata che prende la forma del rilievo al quale s’accosta. E Gionata amò Davide come la vita sua propria.

Re Saul ingiunse che il giovanetto rimanesse con seco, nè volle lasciarlo ritornare alla povera casa paterna. Al vecchio Isai ne doleva, sebbene lo consolasse l’onore del sangue suo; e dispiaceva anche a Davide, il quale avrebbe amato, ove il destro venisse, andare e combattere, ma poi ritornarsene alle sue poche pecore, e ai ruscelli noti, senza le cerimonie della disciplina soldatesca, e senza le noie del vivere cittadino che gli erano continuo impaccio. Una cosa gli dava sollievo, l’affetto di Gionata ch’era a lui consolazione