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una nuova mèsse di meraviglie sotto il raggio ardente di Dio germinare in pro del suo popolo; e, vincitore della comune disperazione e delle contraddizioni fraterne, ch’è il più terribile de’ nemici, varcò il fiume sacro, e vide l’arca del patto fermata sicuramente sotto tende ospitali; e stette a lungo tra le generazioni novelle, monumento vivente delle benedizioni d’Israello e delle divine magnificenze.
Nè però insuperbì di quanto aveva e veduto e operato; nè de’ propri patimenti degnò, come tanti usano, fare arme di cupidigia o di vanità. Nè solo a Mosè, ma al compagno della sua fede, a Giosuè, prontamente si sottomise, riconoscendolo capitano: chè ben sapeva come, ne’ momenti difficili principalmente, richiedesi l’unità del comando; e nel comando riguardava non tanto i laboriosi e invidiosi diritti quanto i doveri tremendi, e la malleveria che non è mai soddisfatta abbastanza. La cauta modestia era in lui fatta più virtuosa dalla coscienza del proprio valore; onde, giunta l’ora della mercede, e’ la chiese a fronte alta. Non la chiese però di vantaggi facili e d’agi ingloriosi; domandò la possessione d’un terreno ch’egli doveva con nuove fatiche e pericoli meritare. Nè si sa che Mosè avesse a lui prestabilita la parte; e, se ciò fosse, l’avrebbe Càleb rammentato a Giosuè espressamente. Dal che si vede e la sua generosa fiducia, e come nelle minori partizioni del terreno, e in altre cose assai, fosse libera, di necessità, al successore la scelta, e come il consentimento degli anziani del popolo a questa con libertà concorresse.