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come coltivasi un campo, che dia frutti, e non pruni; che le acque ci corrano salutifere, non giacciano in stagno che ammorbi. Bisogna tener nette le mani che reggono le sorti de’ popoli, come tengosi nette le mani che aiutano a lavorare e a mangiare, per decenza e per sanità, per rispetto e degli altri e di sè. Or quando un popolo o un governo viene a soprapporsi all’altro egli è dalle leggi di natura, nonchè dalle morali, obbligato a dare o a ricevere qualche cosa: non parlo del prendere oro e terreno, del distribuire busse e schiaffi; ma dico del dare o del ricevere alcuna cosa di buono e di vero. Se il nuovo reggitore è meno civile, sia docile e apprenda; se più, sia paziente e pietoso, e ammaestri. S’e’ non sa essere nè maestro nè discepolo, nè correggersi nè correggere, ma solamente spogliare e schiacciare; l’ora verrà che sia anch’esso schiacciato.

Un altro caso si presenta, nuovo nella storia della famiglia umana, e maraviglioso di provvida bellezza, se la imprevidenza nostra non la contamina e non la disfa; ed è conforto il pensare che l’Italia per prima paia a fornire l’esempio destinata. Dico di popoli della medesima e lingua e religione, che non per invadere si affacciano al confine de’ popoli fratelli, ma per liberare; non alzando la mano in atto d’impero, ma tendendola all’abbracciamento, e ad un patto di piena uguaglianza1. Senonchè la novità e la grandezza dell’impresa porta seco difficoltà che pur l’inesperienza farebbe essere troppo gravi senza che le aggravassero ancora le passioni della cupidigia e della vanità, e le antichissime consuetudini della discordia, la quale, come ognun sa, tra fratelli è più atroce. A vincere tali pericoli non si richiede solo un coraggio di virtù

  1. Si può stendere la mano ai fratelli di lingua e di religione, per liberarli; s’intende, salve le leggi di giustizia; e semprechè ciò torni in meglio dei fratelli.