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la libertà di correggersi, d’evitare o attenuare la pena; poi, degli errori commessi liberamente fa grado al compimento dei suoi altri disegni. Se non per guerra ma per flagello miracoloso si fosse ai profughi sbrattato il terreno distruggendo i loro nemici, sarebbe parsa immeritata la pena; e i privilegiati del nuovo soggiorno avrebbero dalla facile vittoria preso orgoglio senza punto esercitare la fiducia di Dio e insieme il proprio valore. Toccava ad essi col proprio pericolo cooperare all’acquisto; e insieme conoscere che il pericolo, anco animosamente affrontato, non si sarebbe potuto per loro virtù superare. Dovevano combattere come se nell’armi proprie ponessero la speranza; e dovevano sperare in Dio come se procedessero inermi; compire insomma un atto d’umano coraggio e di fede religiosa; e, umiliandosi, conservare innanzi agli uomini e alla loro coscienza la propria dignità.
Importa, del resto, notare che non tutti furono sterminati gli antichi abitanti; che ai novelli toccò in più luoghi la parte montuosa, non le valli feconde; che non soli i Gabaoniti ma altre stirpi ancora sino alla fine abitarono in mezzo ad essi: dal che si comprova come, venuti in tempo a patti, avrebbero potuto evitare gran parte de’ danni patiti. E anco questa prossimità di razze e culti diversi, era destinata da Dio a tener desto ed esercitato il coraggio insieme e la tolleranza, a provare la fede e a crescerne il merito, a rendere la verità più cospicua per il paragone.
Che la conquista fosse ordinatamente partita tra tanta gente senza che ne sorgessero litigi e guerre nè allora nè poi, cotesto potrebbe parere non insolita cosa; dacchè un ordine, una concordia, una dipendenza vediamo possibile, o piuttosto necessaria, tra gl’invasori, tra gl’iniqui