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degli spiriti. Si riconobbero, si vergognarono, e piansero.
Gran pianti la notte, e promesse a Mosè e a sè medesimi di levarsi a muovere verso l’Amalecita, e combattere. Il savio conduttore, impensierito di quello spensierato ardimento non meno che dei passati timori, consigliava a più riposatamente rimettersi a Dio e rifarsi in pace con gli animi proprii. Ma già sull’alba ascendevano al monte, e colle armi brandite in alto, e assordando con le grida se stessi: siam pronti a ire al luogo di cui Dio parlò perchè abbiamo peccato a Lui. - Mosè rispondeva: Perchè trasgredite voi il cenno? Non andate; non vi riuscirà a bene; con voi Dio non è. - S’avviavano alla montagna più come turba tumultuante che come esercito pensoso di ben meditata battaglia. E l’arca del patto non era innanzi a loro. Gli Amaletici e i Cananei, avvertiti forse di quelle discordie, e presone animo, li affrontano, rompono, inseguono. Mosè, umiliato dall’umiliazione loro (perchè i generosi e i pii non esultano della vendetta che fa la sventura sopra chi dispregiava i loro consigli presaghi), si asteneva dalle riprensioni; ordinava che fosse provveduto ai feriti, che ai morti si desse sepoltura d’onorati guerrieri; le famiglie vedovate e orfane consolava. Ma un duro annunzio da ultimo gli era pure forza apportare al popolo suo diletto, che quanto più sconoscente ed errante, tanto più gli era santamente caro; annunziargli una legge che nè egli imponeva nè avrebbe potuto eseguire se il cenno da Dio non veniva. Radunato tutto il popolo, disse che, per il rifiuto di prontamente possedere la terra assegnata da Dio, non l’avrebbero; che, in gastigo dei quaranta giorni di diffidenza infingarda, toccavano loro quarant’anni di vita vagante; che trascinerebbero per tutto quel tempo il peso