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per giungere al godimento; e questo tanto, per poco che sia quando si apparisca come un peso o un intoppo inaspettato, sgomenta o turba o irrita, e avvelena la gioia del possesso, e talvolta lo ritarda o anche lo fa disperabile. Càleb e Giosuè parlarono dunque poco, ma fermo; e perciò appunto dovevano essere con più fiducia creduti. Ma i dieci loro compagni, gl’inviati delle altre dieci tribù, stavano a fronte bassa e annuvolati; e mentre che i due parlarono, o crollavano il capo o stringevano le labbra; ai quali atti la moltitudine guardava sospesa, e l’uno all’altro li additava, e si distraevano. Corsero, l’un dopo l’altro que’ dieci; e chi, con molte parole, e chi con poche, rivolsero i pensieri del popolo a diffidenza e sgomento. Dissero insomma: Quella è una terra buona all’aspetto, ma coloro che la calcassero divorerebbe. Ha città terribilmente munite, con mura che vanno al cielo: e, quasi più minacciosi che le mura, i petti de’ loro guerrieri, robusti e alti in forme mostruose, giganti che, verso loro, noi si parrebbe locuste. Fra questi parlari, incominciava a correre nel popolo un cupo mormorio, come d’onde che, al primo fremere del vento, già stanno per levarsi in fortuna. E ad ora ad ora interrompevano i dicitori. E, perchè nulla è più audace della paura quando si fa svergognata, quanto più lo spavento si diffondeva per le turbe, più risuonava il tumulto. E a modo d’echi che ripercuotendo moltiplicano le voci in un tuono cupo, e a modo di specchi che rendono l’uno all’altro un’immagine come se fossero tante, e ciascuna propria a ciascuna, il terrore comunicato cresceva. Si fecero allora sentire grida discordanti; e indarno Càleb e Giosuè, col cenno della mano chiedendo parlare, e alzando la voce sopra quei clamori confusi, si sforzavano d’attutirli. Dicevano: