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mezzogiorno, prendendo dalla montagna; e spesero quaranta giorni a girare tutto quanto il paese: perchè quella buona gente intendeva che troppi già sono i vantaggi di chi s’ha a combattere sul terreno dov’è piantato, di chi lo conosce a palmo a palmo. Trovarono una terra che correva (secondo l’ardito modo di quella lingua, e secondo le immagini che leggiamo anco nella pagana poesia) latte e miele. Trovarono città forti e fiorenti; una delle quali aveva nome Città delle Lettere; perchè la provvidenza della civiltà da gran tempo l’aveva provveduta di molto sapere, che non la salvò però da rovina. Correva la stagione che colgonsi le uve primaticce: e i dodici pellegrini viaggiando arrivarono ad un torrente, lungo il quale erano vigne con grappoli tanto grandi da far meraviglia; onde gli posero nome il torrente del grappolo. E prese delle melegranate e de’ fichi, e un di que’ grappoli più generosi si pensarono di portarlo per saggio e, per non lo sciupare, lo appesero a un legno da cui penzolasse. Giunsero salvi alle tende; e, raccolta l’assemblea di tutto il popolo, esposero a Mosè e ad Aronne le cose vedute. Parlarono Càleb figliuolo di Ièfone, e Giosuè figliuolo di Nun; che la terra era buona: e mostrarono i frutti. Questo con parole non molte; perchè non intendevano, come i ciarlatani o i matti sogliono, irritar le speranze, e dissimulare al desiderio impaziente le difficoltà dell’impresa. Non basta che la cosa sia desiderabile, e che ce ne venga promesso il prossimo godimento bisogna saper contenere la impronta significazione; delle voglie e delle speranze. Bisogna non nascondere a noi stessi quel che resta da fare