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che debbansi a queste memorie imputare i falli e i vizi e le calamità che li afflissero; basterebbe ciò per farci andare a rilento nel rigettare dall’educazione de’ nostri figliuoli questa che fu tanta parte dell’educazione de’ nostri antenati. Che s’altri opponesse, nella storia sacra esserci fatti da non si narrare per minuto all’età giovanile; io, concedendolo, domanderei se le favole pagane, in favor delle quali oggidì si combatte anco da certi preti acremente, sian cosa più innocente e più alta; domanderei se le storie degli Atridi e di Edipo, se la maternità di Rea Silvia e il ratto delle Sabine e la cagion della morte di Lucrezia sian cose narrabili nelle scuole per filo e per segno; e se, venendo a storie più avverate, le guerre di Sparta in Messenia, di Roma nel Sannio, le turpitudini imperiali d’oriente e d’occidente, gli odii fraterni delle italiane città, le crudeltà e le immondizie delle corti, e i balocchi e gli scherni della bilancia europea, siano cose tutte magnifiche ed esemplari. Che nella storia sacra si scelgano le narrazioni accomodate all’età, e alle condizioni di ciascun paese, anzi di ciascun’anima umana, potendo; e la religione e il buon senso l’insegnano; e guai se le buone consuetudini dovessero essere diffamate dalla malizia o goffaggine di chi ne abusa. Ma escludere dalle scuole e relegare nelle sagrestie la conoscenza delle origini e la meditazione dei fini supremi del genere umano, è un perpetuare, un rendere quasi legale, la guerra tra la credenza e la scienza e la vita; un infermare le facoltà dello spirito, e quindi fiaccare la forza intima delle nazioni, le quali, chiamate nel dì del cimento, opporranno ai governanti mal cauti, se non odio, inerzia e disprezzo.
Lascio che quella storia, comprendendo, in modo unico, nella semplicità della narrazione le bellezze dell’epopea e del