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Almeno io dovea dire ciò che V. P. reverendissima ha detto, che i correttori romani emendarono molti errori. È vero ch’io ho detto che da essi non si perdonò a diligenza o a fatica per eseguire la correzion loro ingiunta, e quindi moltissimi furon gli errori da essi emendati, e il Decreto per opera loro si ebbe infinitamente migliore che non era in addietro. Ma ciò che importa?-Io ho errato: e felice il mio errore, che ha data occasione all’ingegnosa ed erudita sua annotazione! In essa prende ancora V. P. reverendissima a difendere i correttori, perchè continuarono a far uso delle false Decretali, e fa un grande onore al saggio loro discernimento, dicendo, eh1 essi credettero di aver de’ gravi motivi per vieppiù confermarsi nell opinione che era allora la più comune, cioè dell’autenticità di quelle Decretali. La quale giustificazione ognun vede che non ammette risposta, e che distrugge perciò ciò ch’io ho scritto, che spiacque a molti il veder quelle Decretali citate dopo che si era cominciato a dubitare della loro supposizione. E per confermar sempre più che ciò non dovea spiacere, aggiugne un’eloquentissima enumerazione di molti altri uomini illustri che ammisero come genuine alcune opere che poi furon riconosciute come supposte. E perchè io annoverando gli uomini dotti che da Pio IV, da S. Pio V e da Gregorio XIII furono in quel lavoro impiegati, ho citato il Boemero che gli annovera distintamente, V. P. reverendissima osserva che costui si è lasciato ingannare da un’impostura del troppo celebre Tiràbosciii, Voi. XV. 27*