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AL CAPO II DEL LIBRO II 52Q condolto a fine nel i(>3o. Ei ben conosceva che pericolosa ne sarebbe stata la stampa dopo il decreto della romana Inquisizione , in cui il sistema copernicano dannavasi come contrario all’autorità della sacra Scrittura. Recossi perciò a Roma, presentò il dialogo al maestro (del sacro palazzo, il quale , forse con sorpresa del Galileo medesimo, avendolo esaminato, non trovò in esso cosa degna di biasimo e di censura, e ne permise la stampa. Il Galileo fè ritorno a Firenze, per dare l’ultima mano al lavoro , e rimandarlo poscia a Roma, affinchè ivi si pubblicasse. La peste che allor cominciò a infuriar nell’Italia, non gliel permise. Ottenne perciò dal maestro del sacro palazzo, che dopo una nuova revisione dell’opera fatta da un consultore dell’Inquisizione in Firenze, in questa città medesima potesse essa stamparsi; e in tal modo essa uscì alla luce in Firenze l’anno 1632. Questa è la sostanza del fatto, e in esso par che nulla si trovi a riprendere nel Galileo. Ma spesse volte un fatto che semplicemente rappresentato sembra innocente, all’esaminarne le circostanze si riconosce colpevole. Veggiamo se ciò avverisi nel Galileo. Il proemio da lui premesso al dialogo è quello che non ci permette di giustificarlo interamente. Ecco coni’ egli comincia in modo che il più acconcio non poteva idearsi a trarre i revisori in inganno: Si promulgò agli anni passati in Roma un salutifero editto, che per ovviare a’ pericolosi scandali dell età presente imponeva opportuno silenzio all’opinione Pittagorica della mobilità della Terra. Non mancò Tiràboschi , Voi. XIT, 34