Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/342

a3o4 LIBRO sì calde dispute? Il rimanersi ognuno nel suo parere, e il persuadersi di aver ragione. A me nulla preme il sapere chi abbiala veramente, e sono persuaso che, purchè si scriva con esattezza e con eleganza, poco importa finalmente con qual nome debba distinguersi la nostra lingua. Molto meno entrerò io a parlare dell’altra ancor più fredda quistione intorno a’ titoli di Altezza , di Eccellenza , di Signoria, che dal Tolommei, da Bernardo Tasso, dal Bini, dal Contile , dal Caro, dal Muzio si volevano dalle lettere scritte in lingua italiana esclusi, dal Ruscelli il contrario e da altri si volevan conservati; l’opinion de’ quali ultimi fu alla fin vittoriosa , e i detti titoli generalmente furono ricevuti. XXXV. Ciò che non vuolsi dissimulare a gloria degl’italiani nati fuori della Toscana, si è ch’essi furono i primi a dar precetti della volgar nostra lingua; perciocchè, se se ne traggano gli opuscoli scritti contro il Trissino, i quali però furono posteriori alle opere del Bembo , del Fortunio e del Liburnio, il primo fra’ Toscani a scrivere della lingua italiana fu Pierfrancesco Giambullari di patria fiorentino, di cui già si è detto nel ragionar degli storici. Qui dunque ne rammenteremo solo il Gello ossia il Trattato della lingua che si parla e scrive in Firenze, stampato primieramente nel i5 j7, c poscia più altre volte, aggiuntovi un dialogo di Giambattista Gelli sopra la difficoltà di ordinar detta lingua. Volle il Giambullari persuaderci che la nostra lingua venisse dall’antica etrusca, e fosse accresciuta poi anche dall’ebraica e dall’aramea; e ognun può immaginare quai belle