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TERZO a39» lungamente, ma viene illanguidendo e scemando, finchè quasi si estingue. Noi ne vedremo gli effetti nella storia del secolo seguente, e frattanto mi sia solo permesso il riflettere che al tempo medesimo cominciò ancora a introdursi in Italia il reo e corrotto gusto che gittò poscia sì ampie radici, come a suo luogo vedremo. XXX. Mentre la lingua latina avea tanti e sì illustri scrittori che ne accrescevan l’onore e ne propagavan lo studio, anche la lingua italiana cominciò ad avere i suoi legislatori e maestri. Ella è cosa strana a riflettere che una lingua nella quale già da oltre a tre secoli non sol si parlava, ma scrivevasi ancora, e che si usava ne’ libri che si pubblicavano, non avesse ancora principj e regole stabili, e fosse lecito ad ognuno lo scrivere come pareagli meglio. A dir vero però, egli è necessario che così avvenga ad ogni nuova lingua. Se da prima non le si lascia libero il corso , sicchè possa ognuno usare quelle espressioni e quelle parole che più gli sembrino opportune, e appena nata vogliasi essa restringere entro determinati confini, non formerassi mai una lingua copiosa e perfetta. Ma dappoichè col volger degli anni essa si è arricchita, e può bastare per se medesima a spiegare i sentimenti tutti dell’animo, allora osservando le leggi che hanno comunemente osservate i più applauditi scrittori, e le avvertenze colle quali a comun giudizio si rende più soave e più armonioso lo stile, si posson esse ridurre a certi determinati principj; e senza ristringer la lingua in modo che nulla più le si possa aggiugner di nuovo, fissar le regole colle quali Thuboschi, Voi XIII. 21