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2 264 LIBRO lionestissimi fui, et inculpatac vitae sanctitas tum vero, quod sciebam amari me abs te (l. 6 Famil, ep. 129). Visse il Rapicio fino a’ 16 di agosto del 1553, in cui morì in Venezia, dopo avere dettato il suo testamento con tal senno e con tale eleganza, che Aldo Manuzio il giovane lo volle inserir tutto ne’ suoi Comenti sul terzo libro degli Uffici di Cicerone. Paolo Manuzio, scrivendo da Bologna agli 8 d’agosto del 1555 (Lettere, p. 73), si duole che dopo la morte di Giovita la cancelleria ha gran bisogno di buon maestro, e dice eh* egli non ebbe alcuno di bontà superiore, e nelle Lettere a giudicio mio è stato un Varrone o Nigidio. Anche il Cardinal Polo ne parlò con molta lode in una sua lettera scritta nel 1554 Brusselles (Epist. t. 4, ep. 63, p. 180). Oltre le Lettere già citate, e alcune altre che lor vengono appresso, ne abbiamo alle stampe alcune orazioni e alcuni opuscoli di diverso argomento. Ma io qui ne rammenterò solamente i cinque libri De numero oratorio, che sono la miglior opera di’ ei ci abbia lasciato. In essi minutamente ricerca ciò che richiedesi a render armonioso e soave e a diversi argomenti adattato lo stil latino, e seguendo le tracce di Cicerone e di altri antichi maestri, dà i più opportuni precetti a scrivere non solo con eleganza, ma anche con armonia, e risponde insieme al Melantone che avea scritto essere ora inutili cotai precetti, poichè la lingua latina più non si pronuncia da noi come pronunciavasi da’ Romani, e al Bucoldiano che avea affermato esser del tutto a un oratore inutile una cotale armonia.