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lfiia LIBRO che furon parimenti da lui iradotte, ma u0ll pubblicate. Queste traduzioni sono le più eleganti fra tutte, ma non sono le più fedeli come avverte ancora Pietro Vettori, il quale però dell’Alcionio ragiona con molta lode (praef ad Poetic. Arist). Quindi Giovanni Genesio Sepulveda, che allora era in Bologna, prese ad impugnarlo, e in un libro, che fu dato alle stampe, raccolse gli errori tutti dalPAlcionio commessi, e accusollo ancora di plagio. Questi se ne sdegnò altamente, e perchè non si spargesse il libro del Sepulveda, tutti ne comperò gli esemplari; sicchè il Sepulveda pensava di farne una nuova edizione, il che poi non so se accadesse. Una lettera scritta in questa occasione da Cristoforo Longolio a Ottavio Grimaldi ci scuopre quanto fosse sensibile l’Alcionio alla critica delle sue traduzioni; perciocchè egli parlando del libro pubblicato dal Sepulveda, Hoc, gli dice (Longol. Epist.. et Orat p. 386, ed. Lugd. 1542), si tibi videbitur, Alcj onio significabis, aut per alios certe denunciandum ei curabis. Sed, si bene te novi. ipse tu denunciabis ut hominis ad tantae contumeliae nuntium vultum videas, quod unum spectaculum tibi magnopere invideo. Numquam enim is ex oculis laborabit, qui tum ejus fontem spectarit. Un’altra lettera del Longolio a Marcantonio Flaminio ci scuopre un viaggio che l’Alcionio fece a Genova, non so,in qual anno, ma certo innanzi al settembre del 1522, in cui il Longolio morì. Questi in essa racconta che l Alcionio passando da Padova avea ad ogni modo voluto che gli desse una lettera a