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TERZO 1G97 molti clic similmonlii polrebbonsi annoverare, come Antonio da Bitonto francescano, Pier Geremia domenicano, Battista Panezio ferrarese carmelitano, il S. patriarca Lorenzo Giustiniani e più altri, de’ quali, per non allungarmi di troppo, lascio di favellare. Ma prima di finir questo capo, dobbiam qui ricercare in qual lingua si solesse nel corso di questo secolo predicare al popolo. Abbiam già altrove esaminata questa quistione (t. 4, p.481), e abbiam riferite le convincenti ragioni con cui Apostolo Zeno ed altri scrittori han rigettata l opinione del suddetto monsig Fontanini, che fino a tutto il secolo xv non fosse lecito nelle chiese predicar volgarmente. Alle incontrastabili pruove con cui il Zeno si fa a combatterla, tratte appunto dalle Prediche di f Roberto da Lecce e di f Girolamo da Ferrara, moltissime delle quali furono certamente e scritte e dette in lingua italiana, io aggiugnerò la testimonianza di uno scrittore che non ammette eccezione, e che decide la cosa sì chiaramente, che sembra non rimaner luogo a disputarne più oltre. Egli è il celebre Aurelio Brandolini da noi nominato con lode tra’ poeti non meno che tra’ predicatori. Questi adunque nella prefazione a suoi libri de Arte se ribendi, da lui scritti prima di entrar nell'Ordine di S. Agostino, così espressamente afferma: Conciones quoque patria fere oratione pronunciantur: paucae admodum aut. Sanctorum aut defunctorum laudationes latina lingua habentur; atque hae quoque ab illa veteri oratoria in novam quamdam et barbaram consuetudinem ab his, quos Fratres appellamus,