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I a46 LIBRO cunicum et municipem nostrum, quem et linguae Latinae castimonia clarum apud doctos facit, apud indoctos vero, quae jampridem f quorum nunc poene pudet, a patruele fratre sunt edita vernacula. Exstant pleraeque Thebaldei Elegiae, et utriusque. liguae Latinae et Italae Epigrammata arguta quidem et mollia, quae adhuc sub lima teruntur indigne (De Poetis sui temp dial. 1). Questa maniera di favellar «lei (jriralili ri fa conoscere che non erano allora in gran pregio le Rime del Tibaldeo. almeno quali erano.uscite alla luce. Il conobbe egli stesso, singolarmente allor quando vennero in pubblico quelle del Sannazzarro, del Bembo e d’altri valorosi poeti; e si volse perciò a coltivare la poesia latina. Nel che ei fu più felice, sì perchè queste, delle quali alcune ne abbiamo nelle Raccolte de’ nostri poeti latini, son più eleganti che le italiane, sì perchè ei ne trasse frutto molto maggiore; poichè per un solo epigramma fatto in lode di Leon X dicesi ch ei n’ avesse in premio 500 ducati d’ oro. E certo egli era carissimo a questo pontefice, il quale raccomandando a’ canonici di Verona un certo Domizio Pomedelli scolaro del Tibaldeo, quem virum, dice di questo, propter ejus praestantem in optimarum artium studiis doctrinam pangendisque carminibus, mirificam industriam unice diligo (Bemb. Epist. Leon. X nomine, l. 9. ep. 2). Egli innoltre scrivendo al legato d’Avignone, dopo aver fatto un elogio di questo poeta. gli chiede che a lui conferisca la soprantendenza al ponte di Sorga, la qual dovea recar seco qualche vantaggio