Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/16

I a3o LIBRO questo secolo, ehi più di lui si sia accostato al Petrarca nella vivezza delle immagini, e nello stil poetico e passionato, benchè pur vi abbia molto di stentato e di languido. IV. Il Crescimbeni (t 2, par. 2, p. 138), il Quadrio (t. 2, p. 199), e dopo essi il co Mazzucchelli (Scritt ital. t. 1, par. 2, p. 1030) parlano di un Niccolò Cieco d’Arezzo, di cui si hanno più rime in alcuni codici a penna, e non sanno decidere con sicurezza s ei fosse cieco veramente, o se tal ne fosse solo il cognome. Ma un bel passo da essi non avvertito di Gioviano Pontano ci mostra ch’egli era cieco di fatto, e ci fa insieme conoscere quanto famoso poeta egli fosse a' suoi tempi in Firenze ove vivea. Rammenta il Pontano (De Fortitud. l. 2, et. de Coecitate) alcuni di coloro che, benchè ciechi, coltivaron nondimeno le lettere felicemente, e tra essi nomina Niccolò con questo magnifico elogio: Dii boni! quam audientiam Nicolaus caecus habebat, cum festis diebus Etruscis numeris aut sacras historias aut annales re rum antiquarwn e suggestu decantabar! Qui doctorum hominum, qui Florentiae permulti tunc erant, concursus ad eum fiebat! Un sonetto però (Crescim. t 3, p. 162) e un capitolo (Lami, Bibl. Riccard. p. 295), che se n’hanno alle stampe, non corrispondono all’idea che ce ne dà il Pontano, o perchè essi siano stati malconci dagli stampatori, o perchè veramente la grazia della pronuncia e la rarità di vedere un poeta cieco aggiungessero alle rime di Niccolò un pregio che loro non conveniva. Il Crescimbeni avverte che da alcune altre rime