Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 3, Classici italiani, 1824, IX.djvu/147

TERZO l36l versi, ne’ quali sembra predire la vicina sua morte: Sed jam summa venit fatis urgentibus hora: Ah! nec amica mihi, nec mihi mater adest, Altera ut ore legat propriae suspiria vitae, Altera uti condat lumina et ossa rogo. Defletam mihi jam toties tegit urna parentem: Cara premar quantis nescit amica malis. Carm, p. 69. Alcune rime ancor se ne leggono nelle Raccolte de poeti italiani (V. Quadrio, t. 2, p. 354; Crescimbeni, t. 1, par. 2, p. 198). Nè è piccola lode di questo poeta, che il grande Ariosto gli desse luogo tra’più illustri (Orl. c. 4?-). XI.Lodovico Carro e Girolamo Castelli, amendue già da noi nominati nel parlare de’ medici, furono ancora non infelici poeti. Del primo abbiamo nell’Estense biblioteca un poemetto latino al duca Ercole I scritto con molta eleganza. Il secondo, che dal Giraldi dicesi ferrarese di patria, e non bolognese, come afferma il Borsetti (Hist. Gymn. ferr. t. 2, p. 34), dal suddetto scrittore (l. c. p. 536) è lodato non solo come medico, ma ancora come oratore e poeta eccellente, ma amante così della lima, che nel suo testamento vietò che niuna delle sue cose si pubblicasse. Egli aggiugne però di averne lette alcune poesie scritte non senza eleganza. Il co. Matteo Maria Boiardo fu come nella italiana, così ancora nella latina poesia, tra’migliori di quell’età, e le sue Egloghe singolarmente altrove da noi rammentate son piene d’eleganza e di grazia. Il Tibaldeo ancora fu XI. Altri po*t» alla corte medesima.