Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/146

l3o LIBRO Legge, il quale in questo tempo leggeva a Siena, condotto da quella Comunità, e fu incontenente rivocato. Ed è probabile eli’ essa continuasse nel medesimo felice stato fino al terminare di questo secolo.

IX. Non ugualmente felice era la sorte di quella d’Arezzo, da noi nel tomo precedente mentovata con lode) anzi era essa venuta quasi del tutto al nulla, come osserva il cavalier Lorenzo Guazzesi (Opere, t. 2fp. p 110). E una troppo chiara pruova ne abbiamo in una lettera del sopraccitato abate Aliotti, indirizzata nel 1441 a’ priori d’Arezzo, in cui scrive loro (l. 1 , ep. 3(5), cifri non può vedere senza dolore la sua e la loro patria, madre sempre feconda di ottimi ingegni, priva già da gran tempo di latte, cioè di un professor di gramatica ) dai che avveniva che i giovani o rivolgevansi alle arti meccaniche, o erano istruiti da tal maestri i cui precetti meglio era ignorar che sapere) e perciò uno lor ne propose a tal fine opportuno. Federigo III nel 145(5 le confermò i privilegi già conceduti, e parve eli’ essa allora sperasse di risorgere a nuova vita. Perciocchè nelle Memorie di quella città, accennate dal suddetto cavalier Guazzesi, trovasi menzion della laurea ivi conferita ad alcuni pochi anni appresso) e veggiamo fra essi due Tedeschi e uno Spagnuolo. Ma poichè Arezzo venne in potere dei Fiorentini, questi solleciti delle glorie della università di Pisa, da essi rinnovata, non si curaron di questa, la qual perciò decadde di nuovo, e presso gli esteri non ebbe più alcun nome.