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8l6 LIBRO* quelTestro senza il quale niuno fu mai poeta, potrà seguirlo d’appresso e nella leggiadria del poetare, e nella fama a cui egli giunse. E vuolsi qui ancora riflettere a ciò che detto abbiamo parlando di Dante, cioè che tanto più maraviglio» a si rende la eleganza, la grazia, l’energia da lui usata nel poetare, quanto più scarsa era allora la lingua italiana , e non ancor giunta a quella copia e a quella dolcezza a cui egli singolarmente col suo verseggiar la condusse. Alcuni pretendono che molto egli abbia tolto da’ Provenzali, e l’ab. de Sade decide (t. 1, p. 154) che non se ne può dubitare dopo le ricerche fatte da M. de la Curne su que’ poeti, in cui ha indicati cotali furti. Quest’opera non ha mai, eh1 io sappia , veduta la luce, e perciò quanto è facile all’ab. de Sade l’affermare che ciò in essa vien dimostrato, altrettanto è a me facile il negarlo, finchè non si producano i passi che ne facciano pruova. Io credo però, che, se essi si producessero, si vedrebbe per avventura che ciò che il Petrarca ha preso da’ Provenzali, è appunto ciò che vi ha di men bello nelle sue rime, cioè que’ raffinati concetti e quelle idee astratte, e que’ sentimenti che non son secondo natura, di cui essi si dilettavano (a). Tale è certamente il passo indicato dall’ab. de Sade (t 2, p. 258), in cui il Petrarca ha imitato un cotal poeta di Valenza del secolo XIII, detto Messen Jordi, dicendo: (<2) V. la nota seguente.