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TERZO 8l5 V ingegno piti che la natura; gusto da cui dee riconoscer l’Italia il sì gran numero, da cui in addietro è stata inondata, di freddissimi petrarchisti che non avendo forza per sollevarsi in alto con quello ch’essi prendeano a loro guida, non l’han seguito che ne’ suoi errori e ne’ suoi traviamenti. Ma checchè sia di tai difetti, è certo che nel Petrarca abbiamo un sì perfetto modello di poesia italiana, ossia quand’egli sfoga pietosamente la sua amorosa passione, o quando levasi più sublime e prende più nobili oggetti a scopo delle sue rime (a), che chiunque con saggio discernimento si faccia a studiarne le bellezze e i pregi , purché la natura fornito 1’abbia di quell’animo e di (a) Se l’Italia, dice il sig. abate Arteaga (Rivoluz. del Teatro music, ital. t. 1, p. 183, sec. ed.), ebbe in Cino da Pistoja, in Guido Cavalcanti, e nel Petrarca i suoi Tibulli d’un genere più delicato, ella non ebbe mai, nè potè avere degli Alcei , de* Tir tei, dei Pindari , degli Ep imeni di: e segue colf usata sua eloquenza adducendone le ragioni, cioè la corruzion de’ costumi, che avea estinto ogni entusiasmo , l’esser considerata la poesia sol come ministra di piacere, non come strumento di morale , o di legislazione , ec. ec. Colla qual maniera di ragionare sembra eh* ei voglia persuaderci che la poesia italiana non fosse allora occupata che in cantar donne ed amori. Ma fu egli questo per avventura T argomento che prese a trattare Dante? E puossi egli paragonare a Catullo, a T ibullo, ad Anacreonte? E le canzoni del Petrarca: Italia mia, ec. e Spirito gentile , ec., e i sonetti Fiamma del Cielo, ec. e L’avara Babilonia, ec. ed altre sue poesie non possono esse proporsi a perfetto modello di sublime ed eroico stile? E questi son dunque gli autori che vogliono sedere a scranna, e decidere che l’Italia non ebbe allora degli Alcei, de’ Tirtei, ec.?