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TERZO 74* Dante. Dopo aver recata quasi interamente questa lunghissima lettera, 1 ah. de Sade si volge agl’Italiani, e si maraviglia che niuno tra essi abbia fatta di essa menzione, e con un amaro insulto conchiude: ilJaut avouer, quiljr a dans votre li Itera ture des choses singulieres, et tout-à-fait inconcevables (p. 5i4)- A me sembra però, eli’ ci non avesse a maravigliarsi cotanto che gli Italiani non avesser parlato di questa lettera che non si trova che nella edizione assai rara del 1601 , e in cui Dante non è espressamente nominato. Io non ho veduta questa edizione, nè posso perciò giudicare se questa lettera sia veramente secondo lo stil del Petrarca, poichè lo scrittor francese non ce 1’ ha data che in francese. Ma io confesso che incontro in essa qualche difficoltà, la quale vedrei volentieri sciolta dall1 ab. de Sade, Io lascio da parte una contraddizione in cui cade il Petrarca , s’egli è autor della lettera; poichè dopo aver detto che i suoi proprii versi italiani sono abbandonati al popolo, il quale gli sfigura cantandoli, poco appresso dice ch’ei non invidia a Dante gli applausi del volgo, de’ quali gode di essere privo con Virgilio e con Omero. Lascio quel vantarsi ch’ei fa di aver voluto essere scrittor originale, il che non mi pare proprio del pensar del Petrarca che è sempre modesto nel parlar di se stesso. Ma due errori io trovo in questa lettera, i quali non so persuadermi che si potesser commettere dal Petrarca. Si dice in essa che il padre del Petrarca e Dante furon nel medesimo giorno cacciati da Firenze. Or i monumenti autentici, citati dal Pelli, mostrano che Tulàioschi, Voi VI. i5 •