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TERZO 705 E qnal maraviglia , s’essa non è ciò che Dante non ha voluto che fosse? So che vi si leggon sovente cose inverisimili e strane; che le immagini sono talvolta del tutto contro natura; che ei fa parlare Virgilio in modo cui certo ei non avrebbe tenuto; che molto vi ha di languido; e che di alcuni Canti appena si può sostener la lettura; che i versi hanno spesso un’insoffribil durezza, e che le rime non rare volte sono così sforzate e strane che ci destano alle risa; che in somma Dante ha non pochi e non leggieri difetti che da niun uomo, il qual non sia privo di buon senso, potranno giammai scusarsi. Ma , in mezzo a tutti questi difetti , non possiamo a meno di non riconoscere in Dante tai pregi che sarebbe a bramare di vederli ne’ nostri poeti più spesso che non si veggono. Una vivacissima fantasia , un ingegno acuto, uno stile a quando a quando sublime, patetico , energico che ti solleva e rapisce, immagini pittoresche, fortissime invettive, tratti teneri e passionati , ed altri somiglianti ornamenti onde è fregiato questo o poema, o, comunque vogliam chiamarlo , lavoro poetico , sono un ben abbondante compenso de’ difetti e delle macchie che in esso s’incontrano. E assai più chiaramente vedremo qual lode debbasi a Dante, se poniam mente a’! tempi in cui egli visse. Quale era stata finallora la poesia italiana? Poco altro più che un semplice accozzamento di parole rimate, con sentimenti per lo più languidi e freddi, e tutti comunemente d’amore, ovver precetti morali , ma esposti