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(i8o uuno ciliare le pruove con cui si attribuisce la lode di aver saputo di greco a Giovanni Diacono veronese (ib. p. 126), nominato da noi tra gli storici. A mostrare che F. Domenico Cavalca domenicano (da’ PP. Quetif ed Echard mal collocato nel secolo xv (Script Ord. Praed. t 1, p. 878), mentre è certo (V. Zeno nota al Fontan. t. 2, p. 460) ch’ei morì nel 1342) fosse dotto nel greco, arreca monsignor Gradenigo (p. i2 \) f autorità del Cinelli che nella sua Storia manoscritta degli Scrittori fiorentini afferma che più libri ei tradusse dal greco nell’italiano. Ma io non veggo che alcun altro ne faccia menzione, e io trovo bensì che alcuni libri di S. Gregorio Magno e di S. Girolamo ei recò dalla latina nell1 italiana favella (Bibl. de’ Volgarizz. t. 2, p. 182; t. 5, p. 526, 533, 534, 535, 754, 755), ma di greci autori da lui tradotti non trovo vestigio. Finalmente monsignor Gradenigo ragiona di Pietro da Braco piacentino (p. 127), a cui attribuisce l’Oudin (De Script eccL t 3, p. 1220) la traduzione di due orazioni di Demostene e di Luciano. Ed è certo che a questi tempi fiorì un Pietro da Braco cappellano d’Innocenzo VI, e autore di qualche opera canonica che conservasi manoscritta (Mazzucch. Scritt. ital t 2, par. 4, p- 1968). Ma se ei sia lo stesso che il traduttore di dette opere, non è sì facile a diffinire. Invece di questi però noi possiam nominare Guglielmo da Pastrengo, di cui abbiam ragionato nel capo precedente, perciocchè il Petrarca, col rammentare le conferenze ch’ei soleva far seco sugli autori greci e latini, ci mostra eh1 ci possedeva l’una non meno che l’altra lingua.