Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/404

SECONDO JO7 ohe solo dopo una lunghissima esperienza si son fissati, e da’ quali ciò non ostante non si deducono sempre conseguenze troppo sicure. Gli Arabi erano ancora in gran pregio; e appena credevasi che si potesse altronde che da essi apprendere la medicina j e gravissimo fallo sembrava il dipartirsi punto da essi. Io ti prego di grazia, scrive il Petrarca a Giovanni Dondi (Senil. l. 12, ep. 2) che, benchè medico, gli era amicissimo, che in tutto ciò che a me ap~ partiene, non ti valga punto di cotesti tuoi Arabi. Io gli ho tutti in odio. So che sono stati tra’ Greci dottissimi ed eloquentissimi uomini.; molti filosofi molti poeti, grandi oratori, insigni matematici di colà ci sono venuti, e ivi son nati i primi padri dell arte medica. Ma quai sieno i medici arabi, tu bene il sai. Io so qual sono i poeti. Non vi ha cosa più di essi tenera, più molle, più snervata, più oscena; e benchè diverse sono le inclinazioni degli uomini, in tutti essi pero si scorge, come tu stesso dici, l’indole loro propria. Che più? Appena posso persuadermi che dall’Arabia ci possa venire cosa alcuna di buono. E voi nondimeno, uomini dotti, per non so qual debolezza gli encomiate con grandi, e, a mio parere, non meritate lodi. Quindi, dopo aver riferito un detto di Giovanni canonico di Parma e medico, il quale avea affermato che ancorchè un Italiano fosse uguale ad Ippocrate nel sapere, non avrebbe potuto scrivere di medicina, se non era o greco, o arabo, e dopo mostrata l’insolenza e la sciocchezza di tale proposizione, ahi strano sconvolgimento di cose!