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Ì’JI LIBRO che dovean essi non meno raccogliere avidamente nella lor casa quanto più fosse possibile di libri di ogni maniera. E per ciò che è del Petrarca, egli ne parla spesso con quel trasporto medesimo con cui udimmo già Cicerone parlar della sua. Scrivendo al suo Simonide, cioè a Francesco Nelli, lo esorta a mandare alcuni libri, che gli avea promessi, alla sua biblioteca, ch’ei chiama unico sollievo al suo animo e unico sostegno della sua vita; gli dice che si fidi pure del suo scrigno, che non verrà meno alla spesa; che se otterrà ciò che brama, appena gli rimarrà più che bramare; e che, ove ancor non l’ottenga, quei soli libri che già possiede, i quali non son nè pochi ne spregevoli, fanno ch’ei si creda più ricco de’ più ricchi uomini che mai furono al mondo (Senil. l. 1, ep. 2). Somiglianti espressioni troviam più volte nelle sue opere (De Vita solit l. 2, sect 10, c. 1; Senil. l. 14, ep. 1; De Ignor. sui ipsiusy ec. p. 1162, ec.), e nelle sue lettere singolarmente ne ragiona assai spesso, sì che ben si raccoglie che la sua biblioteca era il più caro oggetto delle sue sollecitudini, e che nulla stavagli più a cuore quanto l’andarla ogni di più accrescendo e arricchendo di nuovi libri. E nondimeno il Petrarca dodici anni innanzi alla sua morte, cioè l’anno 1362, pensò a disfarsene, forse perchè ne’ frequentissimi viaggi ch’egli facea, recavali non poco imbarazzo il recarla seco, come raccogliamo da una sua lettera scritta l’anno precedente (De Sade Mém, de Petr. t. 3, p. 561). Egli adunque, trovandosi l’anno i362 in Venezia, e non essendo