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PRIMO 15*7 aggiugne in margine queste parole riferite dall’ab Mehus (Vita di Lapo, p. 37): Verum dicis, quia ego illum tibi donavi, dum Romam peteres, quem ante, ut tunc dixisti, numquam vide ras. Dalle quali parole ancor raccogliamo che a Lapo dovette Petrarca il piacere che allor provò. In secondo luogo non in Arezzo ma in Firenze ebbe il Petrarca quel codice. L’abate de Sade avea creduto che il Petrarca indichi Arezzo nella data della stessa lettera con queste parole: A pud Superos inter dextrum Apennini latus et dextram Arni, ripam intra ipsos patriae meae muros, ubi primum mihi cœptus es nosci. Ma egli stesso ha poi conosciuto il suo errore, e lo ha emendato al fine dello stesso tomo, avvertendo che in Firenze trovò il Petrarca tal libro, e non in Arezzo. Ma insieme ha ripetuto che ciò fu al tornar eli’ ei fece da Roma, mentre le parole stesse di Lapo ci mostrano che ciò avvenne mentre ei vi andava (a). Or tornando al codice stesso di Quintiliano, questo, come il Petrarca stesso confessa, era mancante e guasto; e la sorte di trovarne un intero esemplare era riserbata al Poggio, come a suo luogo vedremo. VII. Il principale oggetto però delle solleci- S(jaVI*j ludi ni del Petrarca eran le opere di Cicerone. tudinc*»ng.>. Questi era, per così dire, il suo idolo, e nonX ne parla giammai che con un dolce trasporto j!£ e co1 sentimenti più vivi di ammirazione e di cerone, gioia. Meriterebbe di esser qui riferita una sua (a) L: obate de Sade nella sua Apologia rns. confessa di essersi a questo lungo ingannato.