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TERZO 667 due ullimi che sono endecasillabi; ma scritta in lingua siciliana più che italiana: Rosa fresca aulentissima capari inver l’estate Le donne te desiano pulì elle maritate: Traheme deste focora se tesse a bolontate Per te non ajo abento nocte e dia Pensando pur di voi Madonna mia. Il terzo di questi versi vien riportato da Dante, ma senza nominarne l’autore (De vulgari Eloq. l. 1, c. 12), a esempio del dialetto rozzo e plebeo della Sicilia; il che non è troppo onorevole elogio di questo poeta, ma che sarebbe compensato abbastanza, quando si potesse provare ch’ei fosse tra tutti il più antico. Or a provarlo, gli scrittori siciliani, e il Mongitore singolarmente (Bibl. sic. t. 1, p. 140), riflettono che Ciullo fa ne’ suoi versi menzione di Saladino e del Soldano d’Egitto, perciocchè volgendosi alla sua donna, così le dice: Se tanto avere donassimi quanto a lo Saladino, E per ajunta quanto lo Soldano, Tocca reme non polena la mano. Dal che essi inferiscono che Ciullo scriveva allor quando celebri erano in Europa i nomi di Saladino e del Soldano, non già di Egitto, come scrive il Crescimbeni (Istor. della volg. Poes. p. 2), perciocchè egli era il medesimo Saladino, ma d’Iconio, cioè Solimano che fu parimente famoso a quei tempi. Or il nome di Saladino dovette rendersi celebre singolarmente l’anno 1187 in cui egli tolse a’ Cristiani Gerusalemme; e sembra perciò probabile che non molto dopo scrivesse Ciullo la sua canzone; e