Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/584

TERZO 563 rhe altrove mi fa bisogno di scelta; e perciò rinnovo qui la protesta fatta altre volte, ch’io non intendo di parlare di tutti i poeti italiani, ma sol di quelli de’ quali è rimasta più chiara fama, e a’ quali è in particolar modo tenuta la poesia italiana di quella perfezione a cui è salita. Ma i primi padri, per così dire, e i primi istitutori d’ogni arte vogliono esser rammentati con qualche particolar distinzione; e perciò riguardo a’ poeti dell1 epoca di cui ora scrivo, ricercherò ciò che ad essi appartiene, con estensione e minutezza maggiore di quella ch’io penso poscia di usare riguardo a quelli dell’età posterioi i. II. Nel terzo tomo di questa Storia abbiam dimostrato che le volgari poesie che da alcuni produconsi, fatte nel 1135 e nel 1184, non son troppo sicure, perchè possiam recarle in pruova che fin d’allora si poetasse in lingua italiana. Abbiam pure accennato quel Lucio Drusi pisano che dicesi vissuto circa il 1170. Ma di lui, come abbiamo allora promesso, dobbiam qui ricercare più esattamente. Pier Francesco Giambullari recita un sonetto di Agatone Drusi pisano a Cino da Pistoia (Orig. della Lingua fiorent, p. 133), da cui ei pretende provare che fin dal 1170 fu coltivata la poesia italiana. Ecco il sonetto medesimo: Se V grande Avolo mio, che fu ’l primiero Che ’l parlar Siei/ian gitin e col nostro, Lassato avesse un opera d’inchiostro, Come sempre rh e visse ebbe in pensiero. Non sarebbe oggi in pregio il buon Romiero Arnoldo Provenzal!, nè Beltram vostro’ , Che questo dei poeti unico mostro Terria di tutti il trionfante impero