Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/319

398 UBUO XXXV. Mi sia lecito finalmente il proporre ciò che a me sembra meno improbabile su questo argomento. Abbiam veduto citarsi da Alberto Magno un libro scritto da Aristotele intorno le pietre, in cui parla del volgersi che fa al polo la calamita. Che questo filosofo scrivesse un libro intitolato in greco nspì rr,; h’Go’ j, ossia de Lapide, affermasi da Diogene Laerzio (Vit. Philosophor. l. 5, n. 26), e dall1 anonimo antico autor greco di una Vita d’Aristotele pubblicata dal Menagio (in not. ad Diog. Laert, t. 2, p. 202, ed. Amstel. 1692). Quest’opera di Aristotele nè in greco nè in latino noi or non l’abbiamo; ma il P. Labbe cita un codice ms. di un’opera di Aristotele de Gemmis tradotta in arabico (Bibl. MSS. p. 255). Essa forse è la stessa che l’opera de Lapide mentovata poc’anzi. Ma ancorchè fossero esse opere diverse, è assai probabile che quella che Aristotele scrisse in greco intorno alle pietre, fosse recata dagli Arabi nella lor lingua, come essi fecero delle altre opere di questo illustre filosofo. E perchè nel secolo XIII erano assai frequenti le traduzioni che di esse facevansi dall’arabico nel latino, è assai probabile ancora che l’opera di Aristotele citata da Alberto Magno fosse venuta dagli Arabi. Io credo certo che Aristotele non parlasse punto di questa proprietà della calamita, poichè abbiam dimostrato che agli antichi essa fu sconosciuta. Ma è assai verisimile che gli Arabi ve l’aggiugnessero. Or non potremo noi credere eli’essi fossero stati i primi a scoprirla? I codici mss. delle lor opere che si conservano in molle biblioteche, e singolarmente