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SECONDÒ 205 che pareva ornai del tutto dimenticala, è stata non ha molti anni proposta di nuovo e difesa con un eludila dissertazione dal P. D. Abondio Collina camaldolese (Comm. Acad. Bon. t. 2, pars 3, p. 373), con cui combatte la contraria opinione del dottissimo P. abate Trombelli da lui con altra dissertazione sostenuta (ib.p. 333). A me sembra però che non faccia bisogno di lungo esame a conoscere quale fra queste due opinioni sia la più verisimile. Le navigazioni degli antichi non che provarci ch’essi conoscessero la direzion polare della calamita, ci provano anzi il contrario; perciocchè noi veggiamo che quando loro mancavano il sole e le stelle, non sapevan più ove volger la prora: Ipse ilìein uoctemque neg.it discernere coelo , Nec meminisse viae media Palinurus in unda. Tres adeo incertos coeca caligine soles Erramus pelago, totidem sine sidere noctes. Virg. Æn. l. 3, v. 201, Quelle parole: cape vorsoriam, di Plauto (Mercat. act. 5, sc. 2 , e. 3|; Trini lima. act. 4, sc. 3, v. 20), che si allegano a provar noto agli antichi l’ago calamitato, è così chiaro da tutto il contesto doversi intendere della fune la qual regge le vele, che io non credo che da alcuno si possano più arrecare in difesa della controversa opinione. Ma a che recare argomenti? il silenzio solo di Plinio su questo punto parmi che equivalga quasi ad una dimostrazione. Un uomo che avea letto quanto potea leggersi di autori antichi e moderni, un uomo che avea da essi raccolto quanto aveano essi osservato, un uomo a cui nulla sfugge, e nulla singolarmente di