Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/661

Ooo Linno anni del x secolo, e molto più su’ principii dell’ xt cominciarono le città italiane a scuotere il giogo imperale, e a reggersi ciascheduna a modo di repubblica, usurpandosi passo passo quella indipendenza che nella pace di Costanza fu poi loro accordata solennemente j come con incontrastabili pruove si è dimostrato dal ch. Muratori (Antiq. Ital. t. 4; diss. 45). Da ciò ne venne il non più riconoscere, come in addietro esse faceano, i ministri imperiali, ma l’eleggersi consoli, giudici e magistrati che rendesser loro giustizia secondo il bisogno , e di ciò pure abbiam chiarissimi esempj ne’ primi anni dello stesso secolo xi (ib. diss. 46)• Or questa nuova forma di pubblica amministrazione determinò, s’io non erro, e in certo modo costrinse gl’italiani a rivolgersi allo studio, della giurisprudenza. Era comunemente l’autorità divisa in più cittadini, e ognuno perciò potea più agevolmente sperare di giungere a conseguirla. Essi doveano esaminare e decidere le contese, scegliere le quistioni, punire i rei, pubblicare ancora secondo il bisogno nuove leggi. A tutto ciò richiedeasi necessariamente, come ognun vede, lo studio della giurisprudenza. Ed ecco perciò la giurisprudenza divenuta l’ordinario studio degl’italiani, secondo l’usato costume e la naturale inclinazione degli uomini di correr colà onde si spera onore e vantaggio. Quanto più profonde radici giltò la libertà italiana, tanto più vivo si fece l’impegno nel coltivar questo studio, e in pregio tanto maggiore furono avuti i giureconsulti, come poscia vedremo. Questa a me sembra la più probabile