Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/659

5y8 libro vescovo di Cantorberì, di cui abbiam lungamente parlato nel secondo capo di questo libro, prima di abbandonare l’Italia attese agli studj, e nominatamente a quel delle leggi, come narra Milone Crispino che ne scrisse la Vita; e degne sono di osservazion le parole con cui questo antico scrittore si esprime di ciò parlando, cioè ch’egli fu istruito in liberalium artium et legum saecularium scholis ad patriae suae morem; volendo con ciò mostrarci ch’era ordinario costume degli Italiani l’esercitarsi in tale studio. Il che confermasi ancor più chiaramente da Wippone, il quale intorno alla metà di questo secolo stesso scrivendo un poetico panegirico in lode d’Arrigo II, imperadore allor regnante, così gli dice: Tunc fac edictum per terram Teutonicorum , Quilibet ut dives sibiMiatos inslrunt omnes Literulis, legemque suam persuadeat illis. Hoc servant Itali post prima crepundia cimeli. Ap. Cams. Ltd. anlit/uae, voi. \,p. iL»6. Queste due testimonianze di scrittori dell’ xi secolo amendue stranieri, che affermano comune e universale tra noi lo studio delle leggi civili, son certamente assai gloriose all’Italia, e ci fanno conoscere che già cominciavasi a spargere ancor da lungi la fama di tali studj che tra noi coltivavansi. Egli è dunque fuor d’ogni dubbio che fino da questo tempo fioriva la giurisprudenza in Italia , e che ve ne avea non pochi celebri professori. Noi troviamo di fatto nelle Lettere di S. Pier Damiano, il quale vivea in questo secolo stesso, menzione di Attone dottor