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QUARTO 519 talvolta usate. Io non rinnoverò qui le contese insorte al principio di questo secolo in Italia intorno alla poesia degli Ebrei (Giom. de Lctt. dItal. t. 7, p. 269). Checchè sia di essi, egli è certo che i Greci ancora e i Latini, benchè per lo più non usassero de’ versi rimati, pur ne usaron talvolta, e dei Latini singolarmente ha mostrato il ch. Muratori (Antiq. Ital. t. 2, diss. 40) che ve ne ha esempj fin dai tempi più antichi, e che quanto più venne degenerando la purezza di quella lingua, tanto più frequente divenne l’usar la rima ne’ versij come se alla grazia dell1 espressione, che più non v’era, si volesse supplire colf armonia. Potcvan dunque gl’italiani per lor medesimi osservare che, attesa l’indole della lor lingua, la rima francese, erano in grazia e in leggiadria assai superiori a tutte le poesie provenzali} e che le parti settentrionali della Francia assai prima e assai meglio delle meridionali aveano coltivate le lettere. Questa proposizione irritò altamente, come era ad attendersi, gli abitanti della Provenza, contro i quali era singolarmente rivolta; e parecchi opuscoli pubblicati furono a confutarla. Ma niuno con più impegno si accinse alla difesa de’ Provenzali, che l’autore del Viaggio letterario di Provenza (ch’è il P. Papon dell’Oratorio, autore ancora della recente Storia di Provenza) stampato in Parigi nel 1780, al fin del quale leggonsi cinque lettere sui poeti provenzali dirette a sostenere la preminenza e l’onore di quegli antichi poeti, e a screditare gli autori francesi delle Favole e de’ Racconti. M. le Grand non si tacque, e l’anno seguente pubblicò in Parigi in risposta al suo avversario le Observations sur!les Troubadours. E forse la guerra non è ancora terminata. Ma noi ne staremo pacifici spettatori, senza prendere parte alcuna in una contesa che punto non ci appartiene.