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4>8 ninno ejttsmodi exemplaria continebar. tur. Ouem din quaesitum, quoniam aut alicui praestitum, aut per tot locorum mutationem casu utilissimi, non invenio, ec. Quindi dopo avergli esposto ciò che nel libro medesimo ricordavasi di aver letto in addietro, condii ride: liaec paura de multis, quae repetita memoria , et multo et tempore dissuta licet recitasse, ad praesens sufficiant, dum ego codicem de ejusmodi exemplaribus a romano scrinio prolatum perlegam. Alle quali parole par che altro senso non possa darsi, se non che basti frattanto ad Einardo ciò che coll’ajuto della memoria glien’avea scritto, finchè gli riesca di trovare il codice che seco avea portato da Roma. Or questo codice stesso avea poc’anzi detto di averlo seco recato dalla sua patria. Dunque la patria di Fulberto era Roma. I Maurini a questo argomento rispondono che esso è equivoco, e che non prova abbastanza. Ma non basta asserirlo; convien provarlo; convien mostrare che in altro senso si possono più comodamente spiegare le recate parole; il che essi non hanno fatto, nè potrebbon per avventura fare giammai. Essi aggiungono che con maggior fondamento si può affermare ch’ei fosse nativo del Poitou, o in generale dell’Aquitania; che la stretta sua unione col duca Guglielmo V, a cui quelle provincie ubbidivano, n’è un’assai probabile congettura , la quale prende ancor la forza di pruova al veder Fulberto riconoscersi come suddito di questo principe cui chiama suo signore: Herus meus (cp. i5). Ame non sembra di riconoscervi nè congettura nè pruova alcuna. Il frequente commercio di lettere che