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UDRÒ prima come ribellione e perfidia. Io non debbo parlarne più lungamente, poichè essa non ha relazione al mio argomento. Oltre i trattatori del pubblico diritto, di essa ha scritto colla consueta sua esattezza il ch. Muratori (Antiq. Ital, med. aevi, diss. 48) > e sopra essa abbiamo ancora la bell’opera del Cai lini stampala in Verona nel 1763. A me basta riflettere che ciascheduna delle città d’Italia prese in virtù di essa a reggersi a guisa di repubblica, senz’altra dipendenza dagl’imperati ori, che cjuella dell’alto dominio, delle appellazioni, e di qualche altro diritto; stato che sembrò loro dapprima il più lieto e felice che potesse bramarsi, ma di cui non tardaron molto a sentir gravi e funestissimi danni, come a suo luogo vedremo. VII. L’idea che abbiam data finora dello stato in cui trovossi l’Italia ne’ tempi che formano l’argomento di questo libro, basta a farci comprendere in quale condizione ebbe a trovarsi l’italiana letteratura. In fatti come e con quai mezzi poteva ella risorgere? Niuno degl’imperadori, de’ quali abbiam ragionato, ebbe stabil dimora in Italia; e quando essi vi scesero, vi si mostrarono comunemente non già pacifici e liberali sovrani, ma minacciosi conquistatori, e punitori severi delle ribellanti città. Il sol Federigo I è quegli da cui si legga che gli uomini dotti e le scienze avessero qualche onorevole contrassegno di protezione e di stima. Ma noi ci riserbiamo a parlarne ove trattando della giurisprudenza avremo a esaminare i principj della celebre università di Bologna. Le città stesse e i cittadini divisi tra loro in sanguinose