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DELLA LINGUA ITALIANA XXXVII si sono impiegali alcuni die non erano destinati a’" primi onori nel regno della letteratura. Ma ciò non pruova che se f?l’Italiani volessero, non potessero anche nello scriver romanzi mostrar le ricchezze, la dolcezza, l’armonia della lor lingua. Un recente esempio ce ne convincerà facilmente. Ognuno avrebbe creduto che la concisa e vibrata lingua francese fosse assai più che l’italiana opportuna a scrivere epigrammi. E certo i pochi che avevamo avuti finora, trattine però alcuni del Rolli} non eran degni di stare al confronto con quelli che i Francesi ci mostravano ne’ loro scrittori. Ma di fresco il conte. Roncalli col fare italiani molti dei più rinomati epigrammi francesi , e più ancora l’ab. Bettinelli così col tradurne parecchi , come collo scriverne molti nuovi, han fatto chiaramente conoscere che la lingua italiana, senza prender cosa alcuna dalle altre, non uguaglia in ciò solamente , ma supera ancor la francese, poichè a una pari precisione e robustezza congiunge una maggior eleganza poetica. Ciò dunque che è avvenuto degli epigrammi, potrebbe accader de’ romanzi , e di ogni altra sorta di libri di spirito , se coloro tra gl’Italiani, che posseggono la loro lingua, e che sanno l’arte di scrivere, volessero in essi occuparsi. Noi non abbiamo cosa alcuna importante nel genere epistolare, sendochè sarebbe lo stesso che voler insultare il buon senso , il paragonar le insipide raccolte dei Cari, dei Bembi, dei Tolomei e dei Zucchi con dieci lettere sole deW incomparabile Sevignc per tacer di tante altre. Se sia idoneo giudice del buon senso chi unisce insieme le lettere di tre de’ più eleganti scrittori italiani, quali sono il Caro, il Bembo, il Tolomei , con quelle del Zucchi, che niuno sognò mai di proporre per modello di stile, è facile il comprenderlo. Se poi il sig. ab. Arteaga si lusinga che basti l’autorevole sua decisione per rimirar come insipide le dette Raccolte, ei s’inganna di molto. Io non negherò che molte di quelle lettere, e quelle singolarmente che diconsi di complimenti, non siano languide e snervate per la ragione poc’anzi accennata , che la lingua italiana non erasi allor per anco staccata del tutto dalla latina, e molto riteneva delle somiglianze materne. Ma è certo che parecchie ne sono in quelle del Caro e del