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SECONDO iyy volgare presso che nella medesima guisa che nella Grecia (ivi, p. 42) ”■ Noi dovremo fra poco parlar del celebre Giovanniccio di Ravenna, che in questa lingua ancora parlava con facilità ed eleganza maravigliosa. In Roma oltre la ragione medesima del dominio de’ Greci, a cui essa ubbidiva, si aggiunse ancora a mantenere in qualche fiore lo studio della lingua greca la necessità in cui erano i romani pontefici di aver frequente commercio cogl’imperai lo ri e co’ vescovi greci; perciocchè non intendendosi da essi comunemente la lingua latina, ed altro idioma non sapendo usare che il greco, conveniva loro aver uomini che potessero interpretare le lettere che venivan di Grecia, e far loro le opportune risposte. E questo io penso che fosse un dei motivi per cui il pontefice Paolo I verso l’anno 760 avendo fondato nella paterna sua casa un monastero in onore dei santi Stefano e Silvestro, volle, come racconta Anastasio (Script.Rer.ital. t. 3, pars 1, p. 173), che i monaci usassero ne’ divini uffici la lingua greca. Il qual consiglio fu poscia da altri pontefici ne’ tempi seguenti imitato, come a suo luogo vedremo. Così i papi potevano aver facilmente uomini di cui valersi a intendere le lettere e i libri che si scrivean da’ Grecj, e a scrivere ancora, ove fosse d’uopo, in tal lingua. Abbiamo inoltre veduto che S. Leone II era in amendue le lingue erudito. E in Milano ancora, benchè non avesse questa città comunicazione alcuna co’ Greci, vi ebbe nondimeno, come già si è detto, l’arcivescovo Natale che possedeva non sol la greca, ma anche l’ebraica