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XXII RIFLESSIONI SULL1 INDOLE A chi dobbiam noi credere? all’autor delle Note alla Dissertazione del dottor Borsa, o all’autore delle Rivoluzioni del Teatro musicale italiano? II. Il gran numero di precetti coattivi intorno alt uso delle parli dell orazione. Se l’ab. Arteaga usa di questa sorte di pruove, non vi sarà cosa eh ei non possa dimostrare. Egli asserisce , e coll’asserire crede di aver convinto. Ma ove trova egli questo gran numero di precetti coattivi? Si compiaccia d‘ indicarcelo, e ci mostri che la lingua italiana ne ha assai più copia delle altre lingue. Allora ei potrà darsi il vanto di aver provato la sua proposizione. Ma finchè egli non fa che magistralmente affermare, negheremo noi pure magistralmente. III. La soverchia scrupolosità nell adoperare le transizioni e i passaggi. E dove è mai che la lingua italiana esiga cotesta scrupolosità? Ci mostri il sig. ab. Arteaga qual legge abbiamo , la quale ci intimi di far sempre uso delle transizioni e de’ passaggi. Io certo non la conosco , e non la conosce chiunque ha studiata la nostra lingua. Anzi in ciò ancora si scuopre la varietà e l’abbondanza della lingua italiana che può a suo talento usare, o non usare delle transizioni e de’ passaggi, e veggiamo sovente i più valorosi scrittori passare , come si suol dire, e.r abrupto da un sentimento all’altro, senza che perciò il ragionamento ne contragga oscurità e sconnessione. Vaglian per tutti il Chiabrera in poesia, in prosa il Davanzati. Io sfido il sig. ab. Arteaga a darmi qualunque tratto egli voglia di scrittore italiano, che più sia ripieno di transizioni e passaggi, e m’impegno a volgerlo in modo che, togliendonegli interamente , il discorso riesca nondimeno ugualmente bello, e forse ancor ne acquisti eleganza maggiore. IV. L’eccessivo abborrimento ad ogni forma non consecrata dall’uso. Questo eccessivo abborrimento non esiste che nella fantasia del sig. ab. Arteaga. È certo che in niuna lingua è permesso ad ognuno l’aggiugnere espressioni e parole a capriccio , come meglio gli sembra; altrimenti si formerebbe un caos, e ni un a lingua avrebbe mai principj certi e stabile consistenza. Ma è certo ancora che in ogni lingua è permesso , checchè ne dicano alcuni troppo rigidi moralisti toscani, quando