diffidente all’estremo, fingitore finissimo dei
falsi, e dissimulatore accorto de’ veri suoi
sentimenti, crudele contro chiunque gli cadesse
in sospetto, e contro i più stretti parenti, abbandonato a’ più infami piaceri, al cui libero
sfogo ritirossi per gli ultimi dieci anni del suo
regno da Roma, e li passò per lo più nella
solitaria isola di Capri, fatta dal suo soggiorno
infame. Non si posson leggere senza orrore le
vergognose disonestà e le crudeli esecuzioni
di cui furono allora testimonj i Romani. Ciò
che è più strano, si è che questi caduti nel
più misero avvilimento presero a secondare
vilmente quelle passioni medesime che rivolgeansi a loro danno e sterminio. Quel popolo
stesso che per l’addietro avea mostrato sì grande
orrore per un giusto dominio non che per una
illegittima oppressione, or pareva che di ogni
arte usasse per rendere sempre più crudele il
nuovo sovrano e più gravi le sue proprie catene. Era Tiberio crudele e sanguinoso, e una folla
di maligni e perfidi delatori ne attizzava continuamente lo sdegno. Le nimicizie private si
coprivano sotto l’apparenza di delitti di Stato;
e presso il sospettoso Tiberio essere accusato
era il medesimo che esser reo. Niuno potea
tenersi sicuro sulla sua innocenza, o sull’amore
degli amici e de’ più stretti parenti. Videsi perfino un padre, cioè Q. Vibio Sereno, costretto
a difendersi contro il proprio suo figlio che a
Tiberio accusollo di fellonia (Tac. Ann. l. 4, c. 28). In tale stato di cose è facile a immaginare qual fosse il dolore de’ buoni, quale il
terrore di tutta la città, anzi di tutto l’impero.