Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/677

accertatamente nè tra gli scrittori che pel soggiorno in Italia si posson dire italiani, nè tra quelli che fiorirono a questi tempi.

Capo IV.

Poesia.

I. Lo stato infelice in cui abbiam veduto giacersi la latina eloquenza, ci fa credere facilmente che ugual dovesse essere la sorte della latina poesia. E nondimeno avvenne altrimenti. I poeti di questa età non posson certo in alcun modo paragonarsi cogli antichi; ma essi meritano maggior lode che non gli oratori. Avieno e Claudiano sono assai migliori scrittori in verso, che la più parte di quelli che a questo tempo scrissero in prosa. Anzi que’ medesimi i quali quando scrivono in prosa, hanno un’insoffribil rozzezza, come Sidonio, Marziano Capella e lo stesso barbaro Fulgenzio Planciade, se si volgono alla poesia, si veggono assai meno incolti, e appena sembran gli stessi. Onde crederem noi che ciò potesse avvenire? Io penso che altra ragione non se ne possa recare, fuorchè la necessità del metro. Svolgiamo brevemente questo pensiero. Gli scrittori di questa età vivevano in mezzo a barbari ed a stranieri, de’ quali era piena l’Italia. Quindi la lingua latina nel favellare ordinario venivasi ognor più corrompendo; sì perchè i Barbari volendo in essa parlare, le aggiungevano molte delle loro parole e delle loro espressioni, paghi di dare ae’esse una terminazione latina; sì