Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/410


primo 373

IX. Era in somma così frequente l’uso delle private biblioteche, che appena eravi uom facoltoso che non avesse la sua; e il lusso, che di questi tempi era eccessivo in Roma, davasi palesemente a vedere in esse ancora, e si gareggiava a chi poteva andare più oltre. Quindi il severo Seneca, riformator rigoroso degli altrui vizj più che de’ suoi, contro di questo abuso ancora fa un’amara invettiva: E a che giovano, dice (De Tranq. animi c. 9), gl’innumerabili libri e le biblioteche, il cui padrone appena in tutta la sua vita ne legge gl’indici? La moltitudine. confonde, e non istruisce chi studia; ed è assai meglio il restringersi a pochi autori, che scorrerne molti. Quattrocento mila libri arsero in Alessandria, monumento illustre di regia magnificenza. Altri la loderanno, come fa Livio, il qual dice che fu pregevole opera della eleganza e della sollecitudine de’ re d Egitto. No non fu ella eleganza nè sollecitudine, fu piuttosto un letterario lusso; anzi nemmen letterario. Perciocchè non allo studio, ma alla pompa fu indirizzato; come alla più parte degli uomini che ignorano anche i primi elementi, i libri non son già ajuto allo studio, ma ornamento delle sale di convito. Abbiansi dunque i libri che bastano; ma non se ne faccia spe ttacolo. Egli è pur meglio, dirai, l’impiegare in ciò il denaro che in bronzi, o in quadri. Tutto ciò che è soverchio, è ancora vizioso. Perchè vuoi tu perdonare a un uomo che adorna gli armarj di avorio e di cedro, che raduna gran copia di autori o sconosciuti o disprezzati, e che si sta sbagliando fra