Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/394


primo 357

Quintiliano ancora ne parla con lode, dicendo ch’ei fu il primo retore di chiaro nome (l. 1 o, c. 5), benchè poscia soggiunga che questo retore, che si gran nome avea nelle scuole, dovendo una volta perorare nel Foro, chiese in grazia che in luogo chiuso si trattasse la causa. Così l’esercitarsi soltanto nelle domestiche mura, che allor si usava, rendeva poi soverchiamente timidi gli oratori, quando doveano uscire all’aperto. Plinio il Vecchio parimenti lo dice celebre tra’ maestri iteli’ arte di ben parlare (l 20, c. 15); e ne reca in prova il pazzo costume d’alcuni che per salire a gloria somigliante a quella di Porcio stropicciavansi con una cotal erba il volto, per averlo essi pure pallido al par di lui. Due cose però, che di lui narra il suo grande encomiatore Seneca, parmi che debbano scemare alquanto presso agli uomini di buon gusto la stima di questo retore; cioè l’ingiusto disprezzo in cui egli ama i greci scrittori che da lui non erano stati mai letti (controv. 33), e il costume non troppo, a mio parere, opportuno ch’egli avea di non volere che i suoi scolari innanzi a lui declamassero, ma sol che si stessero ad ascoltarlo (controv. 25); dal che ne venne, dice Seneca,, che essi per disprezzo dapprima furon detti uditori, il qual nome poi passò ad essere comunemente usato in vece di quel di discepoli sforzi usati dall’ab. Latnpdlas per richiamare al secol d Augusto alcuni ile’ retori da me iucaulameute posti in quel di Tiberio.