una vii coltrice entro un picciol tugurio ch’egli lasciava aperto a chiunque, sicuro di non
esser rubato (V. Sui dati 1 in Epict.). Ma in mezzo
allo squallore della sua povertà, egli era sì ricco
delle massime di una saggia filosofia, che da
Gellio fu a ragione appellato il più grande tra
i filosofi stoici (Noct. Att. l. 1, c. 2). Nè di esse
valevasi egli soltanto a suo vantaggio, ma sforzavasi ancora di persuaderle altrui, nel che egli
avea una forza di ragionare così grande che piegava ovunque volesse i suoi uditori (Arrianus
Nicomed. pracf.ad Diss. Epict.). Ma la sua virtù
non gli fu scudo bastevole contro il furore di
Domiziano; e quando questi cacciò in esilio
tutti i filosofi, Epitteto ancora vi fu compreso
(Gell. l. 15, c. 11). Ritirossi egli dunque a Nicopoli, e vi mantenne il medesimo tenor di
vita. Se egli poscia tornasse a Roma, non è
ben certo. Alcuni il raccolgono dalla famigliarità di cui onorollo Adriano, come racconta
Sparziano (in Hadr. c. 16); ma non parmi argomento bastevole a provarlo. Adriano, fece non
pochi viaggi, ed è ben verisimile che in occasione di essi conoscesse Epitteto, e gli desse
de’ contrassegni di stima. E questa è pure l’opinione di Arrigo Dodwello (Diss. de aetate
Peripli Maris Eusini, § 9), a cui ancora sembra probabile che regnando questo imperadore
morisse Epitteto; perciocchè, se fosse vero,
come altri ha asserito, eli’ ei vivesse fino ai
tempi di Marco Aurelio, converrebbe dire che
oltrepassasse i cento anni di età, essendo egli
stato vivo, come si è detto, fino da’ tempi
di Nerone. Era egli in sì grande stima, che